martedì 12 giugno 2012

Un abstract

Il verbo impiantare è stato analizzato in questo mio blog da un punto di vista ben preciso: dopo aver posto in evidenza come esso abbai mutato profondamente accezione, passando da un ambito agricolo, in cui oggi non viene quasi più utilizzato, ad un ambito prettamente tecnologico, è stato collegato in particolare alle tecnologie prostetiche.
Quella delle protesi, nonostante questo possa stupire, è una storia che affonda le sue radici nel 400 a.C. circa, presso la civiltà egizia. Di amputazioni si parlava già nel Neolitico, ma è da questa data che le protesi acquisirono via via un ruolo fondamentale all'interno della tecnologia, divendendo parte integrante anche della cultura, con riferimenti all'arte ed alla letteratura.
I progressi si sono così susseguiti dai tempi dei Romani fino ad oggi, grazie a miglioramenti nelle tecniche di amputazione (Morel, Paré), stimolati anche dalla volontà di poter dotare amputati ed individui con malformazioni fisiche di movimenti quanto più liberi e spontanei.
Dalla prima protesi "non fissa" di Verduyn, attraverso Potts, Vanghetti e Sauerbruch si è così giunti alla possibilità di rimediare, almeno parzialmente, ad handicap fisici, grazie alla realizzazione di tecnologie decisamente avanzate quali la c-leg ad esempio, o protesi appositamente studiate e progettate a fini sportivi.
Non solo: la tecnologia dell'"impiantare" è progredita tanto da condurre alla creazione di dispositivi quali pace-makers, valvole cardiache artificiali, ossa ed organi artificiali, il cui significato è certamente indubbio.
Dispostivi quali le protesi mioelettriche o macchinari in grado di poter dare ad individui in stato vegetativo la parola vera e propria, la voce, sono solo due esempi di quanto già il settore sia avanzato, ma anche di quanto spazio sia ancora disponibile per ulteriori progressi.

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